Come il "Dream Team" ha rovinato il basket americano

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Foto Fox News Piccola riflessione sull'eliminazione degli Stati Uniti dai Mondiali di pallacanestro, ad opera della Germania e pochi giorni dopo la sconfitta con la Lituania. Molti dicono che se gli Stati Uniti avessero schierato Lebron James, Kevin Durant e gli altri «pezzi da novanta», avrebbero vinto e stravinto. Il che è probabile. Ma sfugge il punto. Questo approccio è fallace: presume che contino solo le attuali dinamiche NBA. È una specie di mentalità da «ragazzino fanatico», questi pensano che solo i loro «giocatori celebrità» sappiano giocare a pallacanestro e che siano quasi dei semidei. Non esiste alcuna cultura del gioco, ma solo figurine da mettere su un album. Poteva funzionare nel 1992, quando i giocatori NBA americani erano così al di sopra del resto del mondo da non avere un briciolo di competizione. Ma quella mentalità da «Dream Team» ha rovinato l’approccio allo sport, soprattutto ora che il basket non americano (in particolare, europeo) è cresciuto. Ora l'Am

CASO SAVOI: L'INSOSTENIBILE IMPUNITÀ DELLA RETE

 «E niente. Nella vita, come nella politica, i leoni restano leoni, i cani restano cani e le troie restano troie». Hanno suscitato oltraggio le parole espresse su Facebook dal consigliere provinciale per la “Lega Salvini Trentino” Alessandro Savoi (e presidente, ora dimissionario, dello stesso partito), che ha apostrofato in maniera indegna le consigliere Alessia Ambrosi e Katia Rossato, colpevoli d’aver abbandonato l’ex “Carroccio” in favore del gruppo consiliare di Fratelli d’Italia. Il post (ora rimosso, ma si sa che sulla rete niente viene dimenticato) non è solo l’apogeo di un linguaggio violento a cui parte della politica ha cercato di abituare i suoi “fan”, con discreto successo, visto che in molti si accodano felici, sghignazzano e si danno di gomito. 

Alessandro Savoi, consigliere provinciale Lega Salvini
 

Ciò che fa pensare è che Savoi è esponente di un partito che fa di alcuni valori tradizionalisti un suo pilastro ideologico: presepi, rosari, crocifissi, identitarismo e moralismo in ogni spazio pubblico. Allora ci si domanda: è questo il linguaggio di un conservatore? Tutt’altro. È il linguaggio di chi ha abbandonato ogni principio di continenza, buona educazione, moderazione, riflessività per abbracciare un feroce tribalismo: o stai nella mia tribù o ti arriva addosso l’anatema attraverso i social, che ti resterà addosso come una macchia. 

È anche il sintomo di una malattia insidiosa e pandemica: la presunzione (corretta, visto che nessuno viene mai punito o sanzionato) che i social-network siano una “terra di nessuno” in cui tutto è concesso in nome di una presunta libertà d’espressione e in cui acchiappare click, reazioni e commenti è la via per la notorietà. L’obiettivo è farci chiacchierare morbosamente, come in effetti stiamo facendo. I precedenti autorevolissimi non mancano, ma probabilmente a sdoganare definitivamente il “linguaggio-shock” è stato l’ex-presidente americano Trump. Lui ha mostrato che sui social-network tutto è concesso, nulla è sacro e anzi, la “scorrettezza” è la strada maestra per vincere. E come dare torto, visti i risultati dei suoi emuli nelle urne di mezzo mondo? 

Il tweet di Savoi, poi cancellato
 

È probabilmente il caso di erigere un cordone sanitario, più che attorno alle persone che alimentano questo sistema di comunicazione, attorno al sistema stesso, pretendendo che le norme di civile convivenza inizino a valere anche sui social-network e smettendo di premiare con voti e visibilità chi esprime un simile linguaggio. Perché chi parla male, pensa male e questo è inaccettabile quando si ha una responsabilità pubblica e civica. 

Ma per fare ciò, occorre che la cittadinanza si assuma la responsabilità di pretendere un linguaggio diverso da chi la rappresenta. Ancora una volta, la qualità della classe politica non è altro che un riflesso della qualità di ciascuno di noi: iniziamo allora a parlare bene, per pensare bene ed operare bene. È il nostro dovere di cittadini, per evitare di lasciare dietro di noi le macerie tossiche causate da questo linguaggio insostenibile.

Fabio Peterlongo

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