LA PRIGIONE DENTRO LA STANZA: HIKIKOMORI TRENTINI CERCANO FUTURO
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Gli "hikikomori" - i ragazzi auto-reclusi, dipendenti da videogiochi e social-network - sono una realtà anche in Trentino. L'Associazione AMA ha dato il via ad un percorso di alternanza scuola-lavoro volto a ricostruire l'identità e l'autostima dei ragazzi "persi nella rete".
Videogiocare di notte, spia di un disagio |
«Abbiamo ricevuto le richieste d'aiuto di circa venti famiglie di "hikikomori". Occorre che i ragazzi riescano a immaginarsi nel futuro».
La sindrome dell'hikikomori tocca soprattutto (ma non solo) gli adolescenti maschi, che finiscono per rinchiudersi nella loro stanza facendo un uso ossessivo di videogiochi e social-network, alienandosi dalle interazioni sociali, fino ad arrivare all'abbandono della scuola: «Gli adolescenti vivono dominati dall'immagine di sé veicolata dai social perché da essa dipende il giudizio dei coetanei. Alcuni non riescono a sostenere questa competitività e finiscono per rifiutare il contatto con i loro pari, puntando sulle relazioni virtuali, sui videogiochi e sulla rete». Quella del videogioco, che agli adulti può sembrare un'esperienza di isolamento, per l'hikikomori è un'esperienza sociale: «Spesso questi ragazzi invertono il ritmo sonno-veglia. Stanno svegli la notte al fine di videogiocare con alcuni “leggendari” giocatori magari americani - spiega Tomasi - Le veglie notturne sono un tipico segnale di disagio che le famiglie possono cogliere». «Gli hikikomori sono di solito ragazzi che non hanno mai dato problemi. Le famiglie si stupiscono di una sofferenza così profonda».
Giulia Tomasi, psicologa AMA Trento |
«Una via d'uscita c'è. Bisogna accettare di parlare del problema con chi l'ha già vissuto e con gli esperti qualificati».
Tomasi evidenzia come i ragazzi vivano una profonda insicurezza anche in relazione al loro aspetto fisico: «Su Instagram e TikTok è una corsa a chi ottiene più “cuori” sulle proprie foto, che vengono fortemente sessualizzate, per altro secondo stereotipi di genere che possono acuire la sofferenza. Anche per questo rapporto con il suo corpo, il ragazzo tende ad evitare le lezioni di ginnastica. Questo è un segnale che il docente può cogliere».
Esistono però delle vie d’uscita da questa situazione, capaci di restituire questi ragazzi ad una vita sociale serena: «È importante che le famiglie si rendano conto che non sono né i soli né i primi a vivere questo disagio. Se ne può uscire, ma bisogna parlarne, confrontandosi con chi è passato per lo stesso vissuto. Se il problema è individuato precocemente, possono bastare alcuni colloqui con il ragazzo e i genitori per sistemare le cose».
Per informazioni si può contattare il numero di AMA 3428210353 o inviare un'email a info@automutuoaiuto.it.
Fabio Peterlongo
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